domenica 10 luglio 2011

The Indian Pacific, Perth to Melbourne.

A mind full of questions, and a teacher in my soul.

E' arrivato il momento. Quel momento non esattamente bramato in cui le mie esplorazioni selvagge si sono concluse nel riportarmi in citta'.
Arrivati a Perth andiamo a vedere l'ultimo film di Spielberg con tanto di popcorn, passiamo la sera in un pub ad ascoltare un po' di musica live, faccio amicizia con una delle band, e grazie a qualche birra in piu' compro pure il loro cd.

Lo guardavo correre dietro al mio treno, salutando e sorridendo con un po' di malinconia. Avrei voluto saltare giu' da quel treno in corsa per atterrare nel passato, e invece sono rimasta seduta a guardare. Guardavo quel volto per l'ultima volta, e tutte le nostre avventure sembravano inscritte sulla sua fronte. Il treno prendeva velocita', usciva dalla stazione, e lui spariva insieme al cemento. Guardavo allora un torrente scorrere intrepido accanto alle rotaie, ed un mare di alberi tutto intorno, vedendo i miei ultimi 250 giorni di vita passare di fronte ai miei occhi, come diapositive in una successione troppo veloce da poter seguire; le immagini si sovrapponevano, e la natura sovrastava con troppa potenza all'interno di esse. Osservavo il verde scorrere fuori dal finestrino, e con la mente toccavo gli alberi che avevo arrampicato, sentivo il calore del focolare che mi scaldava durante la notte, cercavo di avvicinare i canguri che mi circondavano, ed assaporavo l'acqua piovana che mi aveva tenuta in vita. Eddie Vedder sussurrava nel mio orecchio, ricordandomi la destinazione del mio treno: societa'. Vedevo il capostazione muovere le labbra mentre portavo il volume dell' mp3 al massimo pensando a quanto le sue parole potessero risultarmi futili al momento, e chiudevo gli occhi credendo di non essere attorniata da persone frettolose, credendo di poter ascoltare una cascata infrangersi dietro alle mie spalle, credendo di poter alzare il capo e rivolgermi ad uno stormo di pappagalli, sperando di potermi sporgere su un pendio, ancora una volta, ed aprire le braccia ad un forte vento. I colori subito si associavano, portando la mente a vagare in quel furgoncino del 1984, che paziente e coraggioso mi aveva trasportata per cosi' lungo tempo attraverso questo meraviglioso ed altrettanto rosso paese. Rivivevo le notti passate in quei luoghi cosi' isolati dal mondo, dove la vita e' cosi' semplice, cosi' pura, cosi' dolce. Dove camminavo senza incontrare nessuno, se non qualche farfalla che a lungo inseguivo cercando di fotografare, o qualche tronco da scavalcare. Non mi sarebbe stato facile capacitarmi della fine di quei giorni, se non fosse stato per il treno che correva sempre piu' forte, mentre dentro di me avevo un'energia tanto grande da poter correre piu' forte di esso, ma nella direzione opposta sulla linea del tempo e dello spazio.Un'energia che accumulata in me voleva esplodere, forse solo nel concretizzare un sentimento che altro non era che una paura enorme di rimanere nuovamente affetta dal parassita della superficialita' e del materialismo, del quale la societa' odierna sara' eterna portatrice.
Tutto cio' che potevo fare era star seduta su quel sedile cosi' comodo, a sentirmi tirare via da una vita chiara e trasparente, scandita da un tempo che e' paziente. Molto piu' paziente di quello che fin dalla nascita siamo stati limitati a conoscere.

venerdì 8 luglio 2011

THERE'S A LONG WAY TO HEAVEN, it's faster through nature.

Sulla guida di Paul scopriamo con grande gioia di un sentiero di 60 chilometri con partenza in un piccolo parco nelle vicinanze, e senza nemmeno parlarne troppo accendiamo i motori verso Yanchep National Park. Li' raccogliamo un po' d'informazioni a riguardo, avvisiamo i ranger della nostra decisione, scopriamo d'essere gli unici sul percorso, e ci inoltriamo a cuore aperto in una nuova piccola avventura. Suddividiamo il cammino in tre giorni secondo la presenza di rifugi lungo la via, buttiamo delle calze e un po' di cibo in zaino, ci assicuriamo che l'auto sia a prova di ladro prima di lasciarla, ed al tramonto partiamo. Circondati da una costellazione di canguri, sempre molto attivi al calar del sole, tracciamo i primi cinque chilometri utili a raggiungere il punto di partenza, in presenza del primo rifugio. Con una torcia (la mia alza bandiera bianca scaricandosi dopo venti minuti) attraversiamo una foresta lungo un lago, non vedendo ad un palmo dal naso e frastornati dal forte gracidare delle rane e dagli ultimi uccelli che ancora infestano le fronde. Ad ogni strano suono non riesco a fare a meno di sobbalzare ed istintivamente attaccarmi a francobollo sullo zaino di Paul, che apre la via, la luna e' ridotta ad uno spicchio e la vegetazione e' fitta, ma fortunatamente il tracciato e' facile da seguire.
Raggiunta la meta troviamo un tavolo ed un rifugio semi aperto dotato d'un ripiano di legno sul quale dormire. Nonostante l'inverno inoltrato una maglietta leggera durante il giorno compie il suo dovere, ma non appena il sole alle 5.30 abbandona il nostro orizzonte il freddo umido entra nelle ossa. Chiudo il mio sacco a pelo fin sopra ai capelli, indosso due paia di calze e tutti i vestiti che mi son portata ma non e' sufficiente, e mi ritrovo a dormire con la mia grande sciarpa avvolta intorno ai piedi, cercando di chiudere occhio e scaldare due ghiaccioli immobili.
Alle 6.30 la prima "kookaburra", the bushman's alarm clock, inizia a cantare con quel suono simile ad una scimmia urlante che conosco ormai cosi' bene, la mia sveglia da sette mesi. E' tuttavia la prima volta che sono felicissima di sentirla:annuncia il sorgere di quel grande sole australiano che in qualunque stagione scalda qualunque cosa. Apro gli occhi ed il mio compare d'avventure gia' siede di fronte ad un fuoco acceso sorseggiando un caffe'. Preparo la colazione, raccogliamo i nostri pochi averi e verso le nove siamo pronti ai 16 chilometri della prima giornata. Il paesaggio e' semi desertico ed invariato lungo tutto il tragitto, il sole alto ma anche l'umore, e tra i dieci tipi di piante che distinguiamo nessuna e' priva di spine assassine. Giunti al secondo rifugio con qualche graffio in piu', c'attende un buon sonno, poiche' decidiamo di dormire per terra accanto ad un fuoco. Metto a tacere le mie paranoie riguardo al fuoco incontrollato e dormiamo benissimo. Ogni volta che esso accennava a spegnersi uno dei due era gia' intento a ravvivarlo, sveglio a causa della sua mancanza. Camminiamo 20 chilometri il secondo giorno, e quando stanchi arriviamo al rifugio divoriamo i nostri panini giornalieri e trascorriamo il resto del pomeriggio chiacchierando, leggendo, o scrivendo intorno ad un focolare, immersi in una bolla di pace e serenita'. Fatti altri 20 il terzo giorno, concludiamo su una strada non troppo trafficata dove facciamo l'autostop per tornare indietro, avendo grande fortuna e non aspettando piu' di 5 minuti. La soddisfazione e' enorme, quasi quanto il pranzo che cuciniamo una volta ritornati all'auto, che fedele e solitaria c'aspettava pazientemente.

lunedì 4 luglio 2011

Martina ci lascia a Geraldton, dove per la prima volta dopo due settimane avvistiamo un McDonald's,che di certo non c'attira, ma ci fa capire d'essere entrati in un piccolo nucleo civilizzato. Sfruttiamo dieci minuti di internet in una libreria per lasciare in rete qualche segno di vita, facciamo la spesa e proseguiamo rotolando verso sud. Il giorno seguente giungiamo nel Nambung National Park, piccola area desertica pullulante di appuntite rocce che spuntano da una sabbia gialla quanto loro, circondata da ettari ed ettari di verdi cespugli e praterie: si', dal punto di vista territoriale questo paese e' il re delle bizzarrerie, ma e' di questo che siamo alla ricerca, si chiama imprevedibilita'. Per la felicita' dei pigri, all'interno del parco e' stata creata una traiettoria percorribile in macchina, per favorire ed agevolare le persone ad osservare la natura da un abitacolo. Stupefatti e terribilmente depressi, dopo 5 metri di guida ci scambiamo un'occhiata d'intesa, posteggiamo il furgone, prendiamo una bottiglia d'acqua e percorriamo i quattro chilometri a piedi saltellando allegramente in questo cosiddetto "Pinnacles Desert". Spendiamo la notte in un'area di sosta e iniziamo a rimuginare sul nostro futuro prossimo. Il mio treno verso Melbourne parte il giorno 10 da Perth, ed in effetti nessuno dei due se la sente di passare piu' di tre giorni in citta'...

venerdì 1 luglio 2011

ROXANNE, the red van, again.

"Janis Joplin si sgola dalle misere casse del furgoncino, canguri saltano in mezzo alla strada, e cosi' mi ritrovo a guidare su una strada non asfaltata, rocciosa e piena di buche, procedendo a venti all'ora per cercare di evitare la morte di animaletti innocenti, e soprattutto la morte definitiva delle gia' pessime sospensioni dell'auto."
Eravamo diretti a Tunnel Creek, dove c'e' una grotta che volevamo andare ad esplorare. Ci e' costata un "detour" notevole, l'attraversamento di pozze d'acqua con l'auto, e una ruota che letteralmente si e' disintegrata ma, essendo muniti di quella di scorta, tutto e' finito per il meglio con una storia da raccontare in piu'! Dopo una sosta a Broome e qualche birra sul bellissimo tramonto di Cable Beach compriamo una nuova ruota di scorta e iniziamo a vagare estasiati attraverso il Karijini National Park, che trovo essere il luogo piu' spettacolare di tutto il mio viaggio. Ci dedichiamo alle camminate, percorrendo sentieri che ci obbligano a oltrepassare acque gelate e arrampicarci in molti punti, appagando pienamente lo sforzo con scenari che tolgono il fiato.
Giunti sulla costa noleggiamo pinne e maschere e passiamo ore ed ore ad esplorare questi fondali, dove una piccola barriera corallina e' raggiungibile nuotando un po' piu' al largo.L'acqua che bagna le spiagge dell'ovest ha delle sfumature di turchese e blu cristallino che lasciano a bocca aperta,la sabbia e' bianca,e lo sfondo alle mie spalle e' un'incontaminata distesa di verdi cespugli. Dopo tanto tempo tra terra e rocce il mio cuore ha sobbalzato nell'uscire dal furgoncino e sentire l'intenso profumo di salsedine, quello al quale sono cosi' affezionata.Non sono certa se sia per le lunghe vacanze in barca a vela che mi hanno accompagnata fin dai miei primi mesi di vita, o per il mare che bagna la mia citta', al quale di tanto in tanto chiedevo consiglio seduta sul molo, ma a sguazzare in acque salate mi sento a casa. Passo emozionanti momenti a nuotare con dei pesci grandissimi e colorati, un polipo, delle strane mante punteggiate d'arancione, una grande tartaruga marina, e avvisto uno squalo! Avra' avuto meno d'un metro di lunghezza, cosi' ci siamo messi ad inseguirlo con un bel po' d'adrenalina in corpo, finche' troppo veloce per noi l'abbiamo visto sparire dietro a dei coralli. Tuttavia decido di non perdere l'occasione di poter nuotare con un essere ben piu' grande, ma totalmente innocuo, lo squalo balena. Pago una barca che mi porta al largo, mi danno pinne e maschera, mi tuffo,immergo la testa ed eccolo li' di fronte a me,un pesce di 5 metri e le pinne di uno squalo mi osserva. Resto immobile, lo lascio passare, e mi lancio nell'inseguimento. Non sembra essere troppo disturbato dalla mia presenza.Per dei minuti in cui ho completamente perso il senso del tempo ho nuotato al suo fianco, piu' veloce che potevo, senza mai staccare gli occhi da quella creatura cosi' grande e cosi' incredibilmente bella e gentile,vivendo ogni momento appieno, come d'altronde sto facendo da quando ho messo piede su quell'aereo, sette mesi fa.
Al ritorno a riva, dalla barca avvisto dei dugonghi, e tante balene emergono dall'acqua molto vicine a noi mentre abbiamo modo di vedere tantissimi delfini a Shark Bay, la nostra ultima destinazione marittima.