venerdì 8 luglio 2011

THERE'S A LONG WAY TO HEAVEN, it's faster through nature.

Sulla guida di Paul scopriamo con grande gioia di un sentiero di 60 chilometri con partenza in un piccolo parco nelle vicinanze, e senza nemmeno parlarne troppo accendiamo i motori verso Yanchep National Park. Li' raccogliamo un po' d'informazioni a riguardo, avvisiamo i ranger della nostra decisione, scopriamo d'essere gli unici sul percorso, e ci inoltriamo a cuore aperto in una nuova piccola avventura. Suddividiamo il cammino in tre giorni secondo la presenza di rifugi lungo la via, buttiamo delle calze e un po' di cibo in zaino, ci assicuriamo che l'auto sia a prova di ladro prima di lasciarla, ed al tramonto partiamo. Circondati da una costellazione di canguri, sempre molto attivi al calar del sole, tracciamo i primi cinque chilometri utili a raggiungere il punto di partenza, in presenza del primo rifugio. Con una torcia (la mia alza bandiera bianca scaricandosi dopo venti minuti) attraversiamo una foresta lungo un lago, non vedendo ad un palmo dal naso e frastornati dal forte gracidare delle rane e dagli ultimi uccelli che ancora infestano le fronde. Ad ogni strano suono non riesco a fare a meno di sobbalzare ed istintivamente attaccarmi a francobollo sullo zaino di Paul, che apre la via, la luna e' ridotta ad uno spicchio e la vegetazione e' fitta, ma fortunatamente il tracciato e' facile da seguire.
Raggiunta la meta troviamo un tavolo ed un rifugio semi aperto dotato d'un ripiano di legno sul quale dormire. Nonostante l'inverno inoltrato una maglietta leggera durante il giorno compie il suo dovere, ma non appena il sole alle 5.30 abbandona il nostro orizzonte il freddo umido entra nelle ossa. Chiudo il mio sacco a pelo fin sopra ai capelli, indosso due paia di calze e tutti i vestiti che mi son portata ma non e' sufficiente, e mi ritrovo a dormire con la mia grande sciarpa avvolta intorno ai piedi, cercando di chiudere occhio e scaldare due ghiaccioli immobili.
Alle 6.30 la prima "kookaburra", the bushman's alarm clock, inizia a cantare con quel suono simile ad una scimmia urlante che conosco ormai cosi' bene, la mia sveglia da sette mesi. E' tuttavia la prima volta che sono felicissima di sentirla:annuncia il sorgere di quel grande sole australiano che in qualunque stagione scalda qualunque cosa. Apro gli occhi ed il mio compare d'avventure gia' siede di fronte ad un fuoco acceso sorseggiando un caffe'. Preparo la colazione, raccogliamo i nostri pochi averi e verso le nove siamo pronti ai 16 chilometri della prima giornata. Il paesaggio e' semi desertico ed invariato lungo tutto il tragitto, il sole alto ma anche l'umore, e tra i dieci tipi di piante che distinguiamo nessuna e' priva di spine assassine. Giunti al secondo rifugio con qualche graffio in piu', c'attende un buon sonno, poiche' decidiamo di dormire per terra accanto ad un fuoco. Metto a tacere le mie paranoie riguardo al fuoco incontrollato e dormiamo benissimo. Ogni volta che esso accennava a spegnersi uno dei due era gia' intento a ravvivarlo, sveglio a causa della sua mancanza. Camminiamo 20 chilometri il secondo giorno, e quando stanchi arriviamo al rifugio divoriamo i nostri panini giornalieri e trascorriamo il resto del pomeriggio chiacchierando, leggendo, o scrivendo intorno ad un focolare, immersi in una bolla di pace e serenita'. Fatti altri 20 il terzo giorno, concludiamo su una strada non troppo trafficata dove facciamo l'autostop per tornare indietro, avendo grande fortuna e non aspettando piu' di 5 minuti. La soddisfazione e' enorme, quasi quanto il pranzo che cuciniamo una volta ritornati all'auto, che fedele e solitaria c'aspettava pazientemente.

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